Quando vinci il nobel a 25 anni, o diventi campione del mondo a 18, a dispetto delle apparenze la vita diventa un casino: per quante soddisfazioni tu ti possa togliere, non eguaglieranno mai il botto iniziale, la vita prosegue in discesa, e sbrogliati a non farti prendere dalla malinconia.
Da questo punto di vista, l'Imprevedibile Rivoluzionario (che per questo post si toglie lo sfizio di parlare in terza persona) può stare tranquillo: nella vita non ha combinato granché.
Ma la malinconia è sempre in agguato lo stesso. Perché basta che occasionalmente ti capitino dei momenti di rara intensità, ti si schiuda qualche dolce sorpresa, e sei fregato: passi il resto del tempo ad inseguire il picco che è passato, anzi per essere soddisfatto devi superarlo, e il circolo vizioso si autoalimenta, e vuoi sempre di più, sempre di più. Pezzi d'arcobaleno, barche di cartone, tramonti dall'altro lato guardando le ombre, scatole di chewing-gum alla menta con una sorpresa al limone che chi la trova vince un premio, serate a Garessio, bromeliacee e piccole rane.
Per di più, a causa della fatidica fregatura di Poisson (più nota tra i comunardi come esponenziale negativo) tutte le cose belle tenderanno ad accumularsi in un brevissimo (e bellissimo) periodo, ed essere seguite da una lunga latenza-scazzo: una birichina quanto ineluttabile legge della statistica condanna il genere umano alla malinconia ;-).
Ma l'Imprevedibile Rivoluzionario (il quale per il momento continua a parlare di sé in terza persona) non si è voluto privare di una fregatura ulteriore: si è abituato a non arrendersi.
Come ciò si sia verificato, è poco chiaro.
Tra i suoi trascorsi sportivi d'infanzia, l'Imprevedibile Rivoluzionario (al quale la terza persona comincia a stare stretta) non ha memoria di vittorie. In compenso, ricorda con sapore eroico una sconfitta in particolare. Dieci o undici anni. Ultima di campionato. Mezza squadra già in vacanza, gli irriducibili -che già perdevano ignominiosamente in condizioni normali- ridotti in nove contro undici fin dal primo minuto a causa delle assenze. Il campo ridotto ad un acquitrino. Ma si è lì per giocare, non si rinuncia. Una valanga di goal al passivo, non per questo la squadra si chiude per minimizzare il danno, ma continua, imperterrita, ad avanzare, a tentare, a prendersi dei sonori schiaffoni. Cade, si rialza, schiaffone.
Uno dei difensori centrali era tecnicamente il miglior giocatore. Ciclicamente, in un impeto di orgoglio, avanzava palla al piede in solitaria e saltava un paio di avversari. I quali, non paghi del vantaggio imbarazzante, incuranti di caviglie e menischi, non essendo in grado di fermarlo altrimenti, lo stendevano con le irregolarità più disparate e brutali. Il padre, dagli spalti, lo incitava a continuare; l'allenatore, dalla panchina ma sei scemo, non stare a sentire tuo padre, vuoi farti ammazzare? Lascia perdere, non ne vale la pena. E lui, schiaffone, cade, si rialza.
L'Imprevedibile Rivoluzionario ricorda docce di ghiaccio e cuori caldi, 90 minuti di schiaffoni e cadute per tutti, un'uscita dal campo con fango nei capelli e nelle mutande, a testa alta.
Sicché alla fine l'Imprevedibile Rivoluzionario (il cui uso della terza persona volge al termine) più che alle sconfitte, è stato addestrato a non arrendersi. Mai. Solo che quando continui a lottare dopo che il risultato è sancito diventa una patologia. Si chiama non accettare la realtà.
L'arbitro fischia. La partita è finita.
Domani smetto.
Da questo punto di vista, l'Imprevedibile Rivoluzionario (che per questo post si toglie lo sfizio di parlare in terza persona) può stare tranquillo: nella vita non ha combinato granché.
Ma la malinconia è sempre in agguato lo stesso. Perché basta che occasionalmente ti capitino dei momenti di rara intensità, ti si schiuda qualche dolce sorpresa, e sei fregato: passi il resto del tempo ad inseguire il picco che è passato, anzi per essere soddisfatto devi superarlo, e il circolo vizioso si autoalimenta, e vuoi sempre di più, sempre di più. Pezzi d'arcobaleno, barche di cartone, tramonti dall'altro lato guardando le ombre, scatole di chewing-gum alla menta con una sorpresa al limone che chi la trova vince un premio, serate a Garessio, bromeliacee e piccole rane.
Per di più, a causa della fatidica fregatura di Poisson (più nota tra i comunardi come esponenziale negativo) tutte le cose belle tenderanno ad accumularsi in un brevissimo (e bellissimo) periodo, ed essere seguite da una lunga latenza-scazzo: una birichina quanto ineluttabile legge della statistica condanna il genere umano alla malinconia ;-).
Ma l'Imprevedibile Rivoluzionario (il quale per il momento continua a parlare di sé in terza persona) non si è voluto privare di una fregatura ulteriore: si è abituato a non arrendersi.
Come ciò si sia verificato, è poco chiaro.
Tra i suoi trascorsi sportivi d'infanzia, l'Imprevedibile Rivoluzionario (al quale la terza persona comincia a stare stretta) non ha memoria di vittorie. In compenso, ricorda con sapore eroico una sconfitta in particolare. Dieci o undici anni. Ultima di campionato. Mezza squadra già in vacanza, gli irriducibili -che già perdevano ignominiosamente in condizioni normali- ridotti in nove contro undici fin dal primo minuto a causa delle assenze. Il campo ridotto ad un acquitrino. Ma si è lì per giocare, non si rinuncia. Una valanga di goal al passivo, non per questo la squadra si chiude per minimizzare il danno, ma continua, imperterrita, ad avanzare, a tentare, a prendersi dei sonori schiaffoni. Cade, si rialza, schiaffone.
Uno dei difensori centrali era tecnicamente il miglior giocatore. Ciclicamente, in un impeto di orgoglio, avanzava palla al piede in solitaria e saltava un paio di avversari. I quali, non paghi del vantaggio imbarazzante, incuranti di caviglie e menischi, non essendo in grado di fermarlo altrimenti, lo stendevano con le irregolarità più disparate e brutali. Il padre, dagli spalti, lo incitava a continuare; l'allenatore, dalla panchina ma sei scemo, non stare a sentire tuo padre, vuoi farti ammazzare? Lascia perdere, non ne vale la pena. E lui, schiaffone, cade, si rialza.
L'Imprevedibile Rivoluzionario ricorda docce di ghiaccio e cuori caldi, 90 minuti di schiaffoni e cadute per tutti, un'uscita dal campo con fango nei capelli e nelle mutande, a testa alta.
Sicché alla fine l'Imprevedibile Rivoluzionario (il cui uso della terza persona volge al termine) più che alle sconfitte, è stato addestrato a non arrendersi. Mai. Solo che quando continui a lottare dopo che il risultato è sancito diventa una patologia. Si chiama non accettare la realtà.
L'arbitro fischia. La partita è finita.
Domani smetto.
4 commenti:
scusi, sig. La Talpa, lo può dire all'Imprevedibile Rivoluzionario che siamo tutti giocatori di partite perse. Ma l'importante è scappare lontani dalle patologi ;o%
patologie? :o%
(e anche dagli errori di stumpa)
Qui Arianna.
Tanto ho apprezzato il post e tanto sembrava parlasse di me che ...me lo faccio tatuare??
ah! oggi per me equivale al tuo domani che hai citato in "domani smetto"..non dirlo a troppi, ma è uguale a ieri.. :(
A.
ehi! ma mi distraggo un attimo e trovo tutti questi post tristissimi?! sorridi! sorridi di ogni songola e piccola cosa bella! sorridi di ogni abbraccio, anche quelli elettronici! e non dirlo troppo in giro perchè è una scoperta che sto per pubblicare, ma l'ottimismo batte poisson mille a zero, è una calamita per cose belle che altro che l'esponenziale negativo ;)
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