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"Come odio avere sempre ragione!"
Ian Malcolm, Jurassic Park
Ian Malcolm, Jurassic Park
...e questo giusto per far contenta la Nessie...
"Portatemi un uomo sano e lo curerò"
"Naturalmente quando si ha ragione mettersi in dubbio non serve, giusto?"
"Il bello di te è che credi sempre di avere ragione, quello che è frustrante è che la maggior parte delle volte è vero."
"Il che dimostra che, per quanto intelligente, sono comunque un idiota come tutti"
"Portatemi un uomo sano e lo curerò"
C.G. Jung
"Naturalmente quando si ha ragione mettersi in dubbio non serve, giusto?"
Dr. House
"Il bello di te è che credi sempre di avere ragione, quello che è frustrante è che la maggior parte delle volte è vero."
Stacy, Dr. House
"Il che dimostra che, per quanto intelligente, sono comunque un idiota come tutti"
Albus Silente, Le Fiabe di Beda il Bardo, J.K.Rowling
venerdì 22 febbraio 2008
martedì 12 febbraio 2008
sabato 9 febbraio 2008
Zappa e scalpello
VECCHI SIMBOLI, NUOVE OCCASIONI
Se si vuole costruire un progetto per il futuro non ci si può far deviare dalla difesa arroccata di identità già terremotate da una crisi le cui ragioni non sono solo esogene. Non è con un simbolo novecentesco disegnato con attrezzi oggi in disuso che si salvaguardano i valori forti, fondanti, attuali che stanno nella storia del movimento operaio, ma con le scelte concrete della politica, i suoi contenuti, le pratiche di quei valori, arricchiti dal confronto e persino dal conflitto tra di essi: il lavoro e l’ambiente, lo sviluppo e il suo limite, l’uomo e la donna. Sennò, di quale nuova sinistra, di quale nuovo modello sociale andiamo parlando?
Loris Campetti, Il Manifesto 09/02/2008
Se si vuole costruire un progetto per il futuro non ci si può far deviare dalla difesa arroccata di identità già terremotate da una crisi le cui ragioni non sono solo esogene. Non è con un simbolo novecentesco disegnato con attrezzi oggi in disuso che si salvaguardano i valori forti, fondanti, attuali che stanno nella storia del movimento operaio, ma con le scelte concrete della politica, i suoi contenuti, le pratiche di quei valori, arricchiti dal confronto e persino dal conflitto tra di essi: il lavoro e l’ambiente, lo sviluppo e il suo limite, l’uomo e la donna. Sennò, di quale nuova sinistra, di quale nuovo modello sociale andiamo parlando?
Loris Campetti, Il Manifesto 09/02/2008
La religione è l'oppio dei popoli: anche la fede politica, se è fede e non ragione
Avremmo una proposta da fare. Se volete, se ne può discutere. Si tratta di trovare il modo di rovesciare in azione positiva la disillusione, la noia e la rabbia che provocano in tanta gente i partiti e il sistema politico in generale. Per riassumere: prima ci fu il programma dell'Unione, a cui in qualche modo molti collaborarono, poi le elezioni, nel 2006, vinte d'un soffio dal centrosinistra. Da quel momento, quasi solo disillusioni, noia e rabbia. Con qualche eccezione, è vero, ma a tirare le somme il saldo è piuttosto negativo. E la sinistra in particolare, che avrebbe dovuto ridurre il danno, lo riduceva sì, ma solo per Prodi. Non faccio l'elenco, perché tutti sanno di cosa si sta parlando.
Già, ma «noi» chi? Quel che abbiamo visto, negli anni, è che esistono zone sociali molto varie ma accomunate dalla ricerca di un altro modo di vivere, di decidere insieme e di avere a che fare con l'ambiente. Qualcuno chiama questa parte della società «movimenti», talvolta «pacifismo», altre ancora «comunità locali», oppure «associazionismo», «lavoratori», «precari». Per semplicità, noi diciamo «società civile». Come la si voglia chiamare, questa parte della società, che fa parte di reti [il Patto di mutuo soccorso, il movimento per l'acqua, ecc.] o anche no, ha nei riguardi della politica, delle elezioni, una relazione ambivalente. Per un verso non ne sopporta più linguaggi, discipline e finalità. Per l'altro verso ne dipende, come se quello fosse l'esclusivo ambito da cui ci può aspettare, prima o poi, un qualche cambiamento. Ne deriva che movimenti cittadini e sociali oscillano tra «chiedere» questo o quello ai loro «rappresentanti», e rifiutarli nella speranza di fare da soli. E gli individui sbandano tra il votare il meno peggio per abitudine, per cultura, per disperazione, o non votare affatto. Nelle elezioni locali si tentano liste e candidati «altri», anche con successo, ma in quelle nazionali pare impossibile.
Dopo l'esperienza di questo governo il fossato si è ulteriormente allargato. E a non molto servirà agitare lo spettro di Berlusconi, per lo meno all'inizio della campagna elettorale. E poi il Pd «corre da solo» e dunque è caduta l'apparenza dell'«unità», e le sinistre non danno mostra di agilità e coraggio nel mettersi insieme.
E allora, che si fa? Si può lasciare che passi l'ennesima ondata di marea delle campagne pubblicitario-elettorali, per poi ricominciare a darsi da fare, anche se probabilmente in un contesto peggiore. Oppure si può cercare il modo di «usare» la campagna elettorale. Questa è la proposta: reti, movimenti, associazioni, sindacati, singole personalità un bel giorno, presto, si riuniscono e discutono di come condurre in tutto il paese, città per città, un'altra campagna. La quale consisterebbe nel fatto che tutti, nelle loro diversità, concordano su un testo, un «programma», che disegni la società e la democrazia che vorremmo; e che tutti si impegnano a diffonderlo e a discuterlo in giro per l'Italia. Poi, ciascuno metterà l'accento sulla parte del «programma» che trova più coerente con sé, e in ogni città o territorio si tradurranno quelle proposte nella situazione che c'è lì. Immaginate decine, centinaia di incontri e di azioni che tutte insieme dicano: noi, così diversi tra noi, abbiamo ciò nonostante una proposta da fare a tutti i cittadini. Che si decida di votare per questo o per quello, o di non votare affatto, noi badiamo alle cose, a come cambiare il nostro modo di vivere.
Si tratterebbe di una «campagna» indipendente e parallela a quella dei partiti, che non si propone di chiedere o imporre candidature, o di barattare voti. E se persone iscritte a partiti, o gruppi locali, volessero partecipare all'altra campagna, bene, ma come una parte tra altre, alla pari.
Così, forse si farebbero due passi in avanti. Il primo: reti, movimenti e persone, cittadini che spesso non si conoscono avranno la possibilità di capirsi, di sentirsi parte di una nascente comunità democratica. Il secondo aumenterebbe la possibilità di resistere agli assalti di Berlusconi. Avanziamo questa proposta con semplicità. E se sarà un buco nell'acqua, peccato: ci riproveremo in un'altra occasione.
Pierluigi Sullo [da Carta 4/08 in edicola dall'8 febbraio]
Già, ma «noi» chi? Quel che abbiamo visto, negli anni, è che esistono zone sociali molto varie ma accomunate dalla ricerca di un altro modo di vivere, di decidere insieme e di avere a che fare con l'ambiente. Qualcuno chiama questa parte della società «movimenti», talvolta «pacifismo», altre ancora «comunità locali», oppure «associazionismo», «lavoratori», «precari». Per semplicità, noi diciamo «società civile». Come la si voglia chiamare, questa parte della società, che fa parte di reti [il Patto di mutuo soccorso, il movimento per l'acqua, ecc.] o anche no, ha nei riguardi della politica, delle elezioni, una relazione ambivalente. Per un verso non ne sopporta più linguaggi, discipline e finalità. Per l'altro verso ne dipende, come se quello fosse l'esclusivo ambito da cui ci può aspettare, prima o poi, un qualche cambiamento. Ne deriva che movimenti cittadini e sociali oscillano tra «chiedere» questo o quello ai loro «rappresentanti», e rifiutarli nella speranza di fare da soli. E gli individui sbandano tra il votare il meno peggio per abitudine, per cultura, per disperazione, o non votare affatto. Nelle elezioni locali si tentano liste e candidati «altri», anche con successo, ma in quelle nazionali pare impossibile.
Dopo l'esperienza di questo governo il fossato si è ulteriormente allargato. E a non molto servirà agitare lo spettro di Berlusconi, per lo meno all'inizio della campagna elettorale. E poi il Pd «corre da solo» e dunque è caduta l'apparenza dell'«unità», e le sinistre non danno mostra di agilità e coraggio nel mettersi insieme.
E allora, che si fa? Si può lasciare che passi l'ennesima ondata di marea delle campagne pubblicitario-elettorali, per poi ricominciare a darsi da fare, anche se probabilmente in un contesto peggiore. Oppure si può cercare il modo di «usare» la campagna elettorale. Questa è la proposta: reti, movimenti, associazioni, sindacati, singole personalità un bel giorno, presto, si riuniscono e discutono di come condurre in tutto il paese, città per città, un'altra campagna. La quale consisterebbe nel fatto che tutti, nelle loro diversità, concordano su un testo, un «programma», che disegni la società e la democrazia che vorremmo; e che tutti si impegnano a diffonderlo e a discuterlo in giro per l'Italia. Poi, ciascuno metterà l'accento sulla parte del «programma» che trova più coerente con sé, e in ogni città o territorio si tradurranno quelle proposte nella situazione che c'è lì. Immaginate decine, centinaia di incontri e di azioni che tutte insieme dicano: noi, così diversi tra noi, abbiamo ciò nonostante una proposta da fare a tutti i cittadini. Che si decida di votare per questo o per quello, o di non votare affatto, noi badiamo alle cose, a come cambiare il nostro modo di vivere.
Si tratterebbe di una «campagna» indipendente e parallela a quella dei partiti, che non si propone di chiedere o imporre candidature, o di barattare voti. E se persone iscritte a partiti, o gruppi locali, volessero partecipare all'altra campagna, bene, ma come una parte tra altre, alla pari.
Così, forse si farebbero due passi in avanti. Il primo: reti, movimenti e persone, cittadini che spesso non si conoscono avranno la possibilità di capirsi, di sentirsi parte di una nascente comunità democratica. Il secondo aumenterebbe la possibilità di resistere agli assalti di Berlusconi. Avanziamo questa proposta con semplicità. E se sarà un buco nell'acqua, peccato: ci riproveremo in un'altra occasione.
Pierluigi Sullo [da Carta 4/08 in edicola dall'8 febbraio]
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